Emozioni ,Racconti a Colori: Questo è il titolo della nuova produzione pittorica del pittore pugliese Cosimo Mosaico che lunedì 20 agosto, alle ore 21, inaugurerà la sua personale di pittura a Carovigno, al Castello Dentice di Frasso.
Dopo che a maggio scorso, il dipinto l’Eterno Ulivo ha rappresentato la Puglia alla Milano Design Week, con Upuglia e dopo il successo della mostra Luci e colori della mia terra, presentata a luglio 2016, egli si ripropone, oggi, con una personale ricca di nuove opere. Sono circa 50, infatti, le produzioni pittoriche dal 2016 ad oggi che saranno inaugurate al castello.
L’inaugurazione, dopo i saluti delle autorità: il sindaco Massimo Lanzillotti e l’assessore alla cultura Antonella La Camera, sarà presentata da Salvatore Luperto, ideatore e cofondatore del Museo di Arte Contemporanea Matino (MACMa), inserito nella guida nazionale dei musei italiani I Luoghi del Contemporaneo 2012 del Ministero per i Beni e le Attività Culturali (MIBAC); Direttore Artistico del Museo Cavoti di Galatina. Critico, curatore d’arte e saggista.
Ci parli dei suoi dipinti: Faccio fatica a parlare dei miei lavori perché credo fermamente che un dipinto non vada mai spiegato o titolato, per lasciare la massima libertà a chi lo guarda di costruire soggettivi percorsi empatici attraverso la propria sensibilità, il proprio vissuto e i propri canali emozionali.
Molto semplicemente posso dire che questa mia mostra è prima di tutto e più di tutto un tentativo di condivisione con la mia gente. Quasi un tentativo di sentirmi parte integrante e viva di un tempo, di una storia, di una comunità. Questa esigenza mia può apparire strana o, quantomeno singolare. Ma vi assicuro che io sento forte dentro di me questo bisogno; bisogno che diventa tanto più pressante quanto più invadenti e quasi esaustivi diventano gli attuali strumenti relazionali, quelli che chiamiamo virtuali, ma che spesso diventano un tentativo quasi infantile di trovare spazio in una società che si disgrega e si frantuma sempre di più, dove gli individui sono sempre più chiusi in se stessi e nel proprio egoismo, e gli altri sono solo “gli altri”, estranei alla nostra vita, ai nostri problemi, estranei alla nostra storia, quasi indifferenti, mi si permetta di dirlo, a ciò che avviene intorno.
Da questi miei pensieri nascono i miei dipinti; tentano di parlare di noi, e lo fanno attraverso la proposizione di immagini semplici; la “lamia” di campagna con gli immancabili fichi d’india; una tenera coppia di vecchietti seduta sulla panca a scrutare il mare al tramonto; un glicine che attira l’attenzione mentre passi e ti sorprende per la bellezza dei suoi colori; il millenario ulivo contorto, testimone di tante vite passate, di tanto lavoro e sudore dei nostri padri; il nostro mare, mai inteso come agglomerato di case e di bagnanti, ma visto, piuttosto, nella inimitabile musica che emana la sua tempesta e la sua calma, la sua forza e la sua trasparenza.
I miei dipinti tentano di parlare dei nostri vecchi: di quella dolce vecchina che trascorre tanto tempo sulla porta a guardare ciò che i nostri occhi non potranno mai vedere. Parlano di un vecchio stanco che si trascina verso casa e verso casa trascina i suoi malanni, le sue sofferenze e, forse, anche la sua solitudine.
E a quei vecchi, con i miei dipinti, cerco di restituire presenza, visibilità e dignità. Cerco di proporre la straordinaria bellezza delle rughe profonde che scavano il viso, contrapposta ai modelli di una fisicità perfetta con cui si cerca di sfidare il tempo e i suoi effetti in una massacrante quanto inutile lotta.
I miei dipinti cerano di raccontare la sofferenza degli emarginati perché essa possa diventare per un attimo un pugno nello stomaco alla nostra distrazione e al nostro disinteresse.
Mi trovavo a Milano per partecipare con un mio dipinto ad una mostra sulle bellezze della Puglia. Seduto sotto i portici della galleria del Duomo, c’era un clochard. Un uomo intorno alla cinquantina, barba incolta, abiti lerci, una bottiglia d’acqua affianco e un rosario al collo. Ciò che mi colpì non fu tanto la condizione di povertà di quell’uomo, condizione in cui è quasi normale imbattersi, specie in una grande città. Fui colpito, invece, dal passare della gente: per i passanti quell’uomo seduto a terra era solo un ostacolo al proprio passaggio. Nient’altro. Un impiccio ai propri passi, qualcosa che li obbligava a stare attenti per non inciampare.
Io l’ho dipinto nel tentativo di restituire a me stesso un briciolo di umanità, quasi a dire a quel signore: non sei un “niente”, non sei un ostacolo ai miei passi, ma sei un pezzo della mia storia di cui mi vergogno.
Nei miei dipinti parlo di Africa, di guerra, di migranti.
Parlo di una mamma che guarda lontano col suo bimbo in braccio. Sul suo viso è scolpita la sofferenza del suo migrare, ma anche la speranza di un futuro degno di essere vissuto.
Parlo di bambini della guerra, con i loro sguardi uccisi dalle mostruosità che i loro occhi hanno visto.
Parlo del lungo viaggio della speranza verso un terra che sappia accogliere.
Parlo di quelle traversate di un Mediterraneo che ogni giorno di più diventa cimitero e che qualcuno ha definito “la pacchia”.
Parlo di tutto questo perché voglio che i miei dipinti siano testimoni dei miei tempi, più che una sterile e inutile messa a colore di una tela bianca.
E ve li propongo per farli diventare un po’ vostri: toccateli i miei quadri, vi assicuro che non si rovineranno; piuttosto quel toccarli saprà darvi emozioni e sensazioni che nessuna parola potrà mai spiegare. Toccateli come faccio io con questo braccialetto di cuoio che mi porto al braccio e che ho comprato da una ragazza senegalese sulla spiaggia. Braccialetto che per me rappresenta un patto, un’alleanza con altri uomini in un’unica, straordinaria, meravigliosa umanità.